La limitazione della computabilità dei permessi previsti dalla legge n. 104 opera esclusivamente nei casi in cui questi debbano cumularsi con il congedo parentale ordinario e con il congedo di malattia del figlio, ipotesi nelle quali è prevista un’indennità minore rispetto a quella vigente per la retribuzione normale. Ne consegue che, nella specie, i permessi, accordati per l’assistenza del genitore portatore di handicap concorrono nella determinazione dei giorni di ferie maturati dal lavoratore che ne ha beneficiato.
Il diniego datoriale del permesso ex art. 33 della l. n. 104 del 1992 se non emerga una esigenza datoriale degna di tutela quanto le necessità assistenziali del disabile, come quando la prestazione del lavoratore sia insostituibile all’interno dell’azienda.
Cassazione penale, sez. II, 01/12/2016, n. 54712
Colui che usufruisce dei permessi retribuiti ex art. 33, comma 3, l. 5 febbraio 1992 n. 104, pur non essendo obbligato a prestare assistenza alla persona handicappata nelle ore in cui avrebbe dovuto svolgere attività lavorativa, non può, tuttavia, utilizzare quei giorni come se fossero giorni feriali, senza, quindi, prestare alcuna assistenza alla persona handicappata. Di conseguenza, risponde del reato di truffa il lavoratore che, avendo chiesto e ottenuto di poter usufruire dei giorni di permesso retribuiti, li utilizzi per recarsi all’estero in viaggio di piacere, non prestando, quindi, alcuna assistenza.
Cassazione penale, sez. II, 01/12/2016, n. 54712
In tema di permessi “ex lege” n. 104 del 1992, il lavoratore pur non essendo obbligato a prestare assistenza alla persona handicappata nelle ore di lavoro, deve comunque garantire un minimo di assistenza. Di conseguenza risponde di truffa chi utilizzi questi permessi per recarsi all’estero, in viaggio di piacere.
La causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis c.p. non è applicabile al lavoratore che utilizzi giorni di permesso retribuiti ex art. 33 l. n. 104 del 1992 per recarsi all’estero in viaggio di piacere, commettendo quindi il reato di cui al n. 2 dell’art. 640 c.p. Tale condotta non può infatti essere considerata un fatto di particolare tenuità in quanto, oltre a gravare sulla collettività, costituisce strumentalizzazione dello stato di salute della persona affetta da handicap.
Ed ancora… Integra il reato di truffa la condotta del lavoratore dipendente che durante il periodo in cui usufruisce di permessi retribuiti per assistere un familiare affetto da “handicap” si reca all’estero per un viaggio di piacere, senza prestare alcuna assistenza. (In motivazione la Corte ha chiarito che colui che usufruisce dei permessi in questione, pur non essendo obbligato a prestare assistenza alla persona handicappata nelle ore in cui avrebbe dovuto svolgere attività lavorativa, non può, tuttavia, utilizzare quei giorni come se fossero giorni feriali).
T.A.R. Bologna, (Emilia-Romagna), sez. I, 22/11/2016, n. 957
L’eliminazione del requisito dell’esclusività e della continuità, in materia di benefici riconosciuti dalla legge n. 104 del 1992 ai soggetti aventi lo status di portatore di handicap grave, non va interpretato nel senso che non abbia rilevanza la circostanza che ci possano essere altri parenti in grado di assistere e titolari dei medesimi doveri di assistenza, perché la rilevanza della presenza di altri parenti in loco ulteriormente tenuti all’assistenza è importante proprio in quanto consente di evitare che la necessità di assistere un congiunto diventi l’occasione di ottenere un trasferimento che in base ai normali criteri usati dall’Amministrazione di appartenenza non si potrebbe ottenere, giustificandosi tale deroga solo quando, se non venisse concesso il trasferimento, il congiunto in condizione di handicap grave rimarrebbe privo di assistenza; di qui la necessità di un’approfondita valutazione del contesto familiare per verificare se non vi sia altro congiunto che possa provvedere all’assistenza.
T.A.R. Roma, (Lazio), sez. I, 10/11/2016, n. 11155
Con riferimento al beneficio di cui all’art. 33, l. n. 104 del 1992, la posizione del dipendente pubblico non può qualificarsi come diritto soggettivo, ma costituisce pacificamente un interesse legittimo, nel senso che all’Amministrazione spetta di valutarne la richiesta alla luce delle esigenze organizzative e di efficienza complessiva del servizio secondo una obiettiva, completa e ragionevole valutazione delle esigenze presso la sede di appartenenza e in quella di destinazione. In altri termini la richiesta di trasferimento in base alla normativa suindicata non configura un diritto incondizionato del richiedente. Spetta, in via esclusiva alla P.A., infatti, valutare, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, la prevalenza dell’interesse pubblico per prioritaria tutela del buon funzionamento degli uffici dell’Amministrazione. Conseguentemente, il beneficio potrà essere negato, in considerazione delle esigenze di servizio della struttura di provenienza o di destinazione, anche in relazione alle esigenze fatte valere dall’interessato. Tale evenienza interpretativa è confermata proprio dall’inciso “ove possibile”, contenuto nella predetta disposizione normativa che, nel settore del pubblico impiego, significa, avuto riguardo alla qualifica rivestita dal pubblico dipendente, che deve sussistere la disponibilità del posto in ruolo nella dotazione di organico della sede di destinazione affinchè la P.A. possa provvedere al proficuo utilizzo del dipendente che chiede il trasferimento. Pertanto, il militare deve trovare utile collocazione organica nell’ambito della sede richiesta, in ragione dell’incarico posseduto.
Cassazione civile, sez. lav., 13/10/2016, n. 20684
In tema di permessi giornalieri per i lavoratori, ai sensi dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, per l’assistenza a persone portatrici di grave handicap, la norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 2, comma 3 ter, del d.l. n. 324 del 1993, convertito in legge n. 423 del 1993, ha chiarito che tanto nel settore privato, quanto in quello pubblico, i permessi devono intendersi retribuiti, sicché anche nei giorni di fruizione spetta la corresponsione del compenso incentivante previsto dall’art. 18 della legge 9 marzo 1989, n. 88.
Licenziamento
Cassazione civile, sez. lav., 28/04/2017, n. 10576
Il datore di lavoro può risolvere il rapporto di lavoro dei disabili obbligatoriamente assunti, nel caso di aggravamento delle condizioni di salute o di significative variazioni dell’organizzazione del lavoro, solo nel caso in cui la speciale commissione integrata di cui al comma 3 dell’articolo 10 della legge 68/1999 accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’azienda, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, non essendo all’uopo sufficiente il giudizio di non idoneità alla mansione specifica espresso dal medico competente nell’esercizio della sorveglianza sanitaria effettuata ai sensi del Dlgs 81/2008.
Cassazione civile, sez. lav., 23/03/2017, n. 7524
Il licenziamento dell’invalido, assunto in base alla normativa sul collocamento obbligatorio, segue la generale disciplina normativa e contrattuale solo quando è motivato dalle comuni ipotesi di giusta causa e giustificato motivo, mentre, ove sia determinato dall’aggravamento dell’infermità che ha dato luogo al collocamento obbligatorio, è legittimo – ai sensi dell’art. 10, comma 3, della l. n. 68 del 1999, applicabile “ratione temporis” – solo in presenza della perdita totale della capacità lavorativa, ovvero di una situazione di pericolo per la salute e l’incolumità degli altri lavoratori o per la sicurezza degli impianti, il cui accertamento compete all’apposita commissione medica prevista dalla l. n. 104 del 1992, cui spetta altresì la verifica dell’impossibilità di reinserire, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, il disabile all’interno dell’azienda.
Trasferimento del dipendente con la 104
T.A.R. Firenze, (Toscana), sez. I, 11/07/2017, n. 926
Il diniego di trasferimento chiesto per assistenza familiare, ai sensi dell’articolo 33 della legge 104/1992, non preceduto dal preavviso di rigetto ex articolo 10 bis della legge 241/1990 deve considerarsi illegittimo. Ad affermarlo è il Tar Toscana secondo cui il dovere di attivare il subprocedimento partecipativo di cui all’articolo 10 bis della legge sul procedimento amministrativo è tanto più pressante per le ipotesi in cui vengono a confronto interessi di pari ma contrapposta valenza, come quello alla solidarietà familiare attraverso l’attività assistenziale domestica e al buon andamento degli apparati e uffici, la cui composizione deve passare attraverso un ponderato bilanciamento. Nel caso di specie, si trattava della richiesta di un dipendente della polizia penitenziaria di essere trasferito per poter assistere la madre gravemente malata.
Tribunale Roma, sez. lav., 31/05/2017, n. 5198
In tema di lavoro subordinato, è illegittimo il trasferimento eseguito in violazione dell’articolo 33 comma 5 legge 104/92 come modificata dalla legge n. 53/2000 e senza il consenso del ricorrente . In tale ipotesi il trasferimento deve essere annullato per mancato rispetto del dettato normativo.
Cassazione civile, sez. lav., 11/05/2017, n. 11568
Alla luce di una interpretazione della legge n. 104 del 1992, art. 33, comma 5, orientata alla complessiva considerazione dei principi e dei valori costituzionali coinvolti, il diritto del genitore o del familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, di non essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede, mentre non può subire limitazioni in caso di mobilità connessa ad ordinarie esigenze tecnico -produttive dell’azienda, ovvero della pubblica amministrazione, non è invece attuabile ove sia accertata, in base ad una verifica rigorosa anche in sede giurisdizionale, la incompatibilità della permanenza del lavoratore nella sede di lavoro.
T.A.R. Bolzano, (Trentino-Alto Adige), sez. I, 08/02/2017, n. 52
In considerazione del fatto che l’art. 33, comma 5, l. n. 104/1992 offre protezione a valori di rilievo costituzionale, ogni eventuale limitazione o restrizione nell’applicazione del beneficio a favore del dipendente deve essere sorretta da una motivazione stringente, in grado di fare emergere con chiarezza le ragioni effettive che inducono a ritenere recessivo, in un’ottica di bilanciamento, il bisogno assistenziale addotto alla base della richiesta di trasferimento. Nella fattispecie, il diniego di trasferimento si fonda principalmente su asserite prevalenti esigenze dell’attuale unità di impiego del militare ricorrente, non bilanciate dalla necessità di nuove immissioni presso le sedi oggetto della richiesta di trasferimento. Si tratta di una motivazione del tutto generica e apparente, come tale da ritenersi elusiva dell’obbligo, sussistente anche nei procedimenti che interessano il rapporto di impiego degli appartenenti ai corpi militari, di rendere espliciti i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno indotto l’amministrazione a provvedere in un determinato senso. In particolare, tale motivazione non fornisce alcuna indicazione descrittiva della dotazione organica della sede di provenienza e di quelle di eventuale destinazione. Si tratta, in altre parole, di una motivazione di stile, disancorata da un’adeguata esplicitazione di fatti riferibili al caso di specie e, come tale, replicabile in maniera identica in qualunque analoga situazione.
Tribunale Alessandria, 14/12/2016, n. 501
È illegittimo il trasferimento della sede di lavoro del lavoratore disabile (l. n. 104/1992), ma idoneo allo svolgimento di specifiche mansioni, laddove la società datrice non dimostri, in osservanza del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c., l’impossibilità di organizzare il proprio lavoro in modo compatibile alla salute del dipendente.
Cassazione civile, sez. lav., 12/12/2016, n. 25379
La disposizione dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, laddove vieta di trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati – alla luce dell’art. 3, secondo comma, Cost., dell’art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti dei disabili, ratificata con legge n. 18 del 2009 – in funzione della tutela della persona disabile. Ne consegue che il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico -fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte.
Cassazione civile, sez. lav., 12/12/2016, n. 25379
Il lavoratore che assiste un familiare disabile convivente, anche se privo dei benefici della legge 104/1992 e anche se l’infermità non è grave, ha diritto a non essere trasferito. Questo è quanto affermato dalla Cassazione accogliendo il ricorso di una dipendente contro il provvedimento di trasferimento comminatole da una società per azioni. Per la Corte, pur in assenza della documentazione medica della Asl, la questione che si pone è quella di valutare “se il diritto a non essere trasferiti sussista ai sensi delle legge n. 104/92 solo in presenza di una necessità di assistenza a soggetti portatori di handicap grave o se invece sussista anche quando la disabilità del familiare non sia così grave a meno che non vi siano esigenze aziendali effettive così urgenti da imporsi sulle contrapposte esigenti assistenziali”. E sul punto, l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità porta a ritenere che il trasferimento del lavoratore sia vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psicofisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive e urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte.
Cassazione civile, sez. lav., 12/12/2016, n. 25379
La disposizione dell’art. 33, comma 5, della l. n. 104 del 1992, laddove vieta di trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, dev’essere interpretata in termini costituzionalmente orientati in funzione della tutela della persona disabile, sicché il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica di quello, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive e urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte.